Martedì mattina l'attenzione del mercato valutario si concentra su tre eventi, ciascuno dei quali può cambiare l'equilibrio del potere. Il presidente degli Stati Uniti lascia il vertice del G7 a causa delle crescenti tensioni in Medio Oriente. È stato firmato un accordo commerciale, ma solo con il Regno Unito. La Banca del Giappone mantiene ancora invariati i tassi, preferendo aspettare. Cerchiamo di capire esattamente cosa è successo, perché i fatti sono importanti e come reagiranno i mercati.
Trump lascia il Canada con un accordo e molti problemi irrisolti
La notizia principale del G7, infatti, è sua fine anticipata - almeno per un partecipante. Il presidente USA Donald Trump ha lasciato l'incontro dei leader del G7 in Canada un giorno prima, citando il netto aggravamento del conflitto tra Israele e Iran.
Stando alla Casa Bianca, il Presidente è tornato a Washington per delle consultazioni presso la Situation room. Sui social, Trump ha affermato, letteralmente, quanto segue: "Tutti devono lasciare Teheran immediatamente. L'Iran non può avere armi nucleari. L'ho ripetuto più e più volte!"
L'uscita dal vertice è parsa brusca e dimostrativa, ma Trump è comunque riuscito a ottenere qualcosa. Nel breve periodo trascorso in Canada, il presidente USA è infatti riuscito a concludere un accordo chiave: l'accordo commerciale con il Regno Unito.
A seguito dei negoziati con il primo ministro Keir Starmer, le parti hanno firmato un documento che prevede la riduzione dei dazi statunitensi sull'esportazione di automobili e prodotti aerospaziali civili dal Regno Unito, nonché l'espansione delle quote per i prodotti agricoli americani.
La tariffa sulle automobili britanniche, ad esempio, scenderà dal 27,5% al 10% a partire da giugno, con una quota di 100 mila automobili all'anno. Le riduzioni riguardano anche le esportazioni di aviazione civile, i prodotti agricoli e, parzialmente, l'alluminio.
Per quanto riguarda gli altri paesi, in particolare il Giappone, i negoziati si sono interrotti e non hanno portato a un accordo. L'incontro tra Trump e il primo ministro Shigeru Ishiba avrebbe dovuto portare a un accordo quadro: entrambe le parti avevano già tenuto una serie di riunioni ministeriali, e lo stesso Ishiba prima del vertice aveva accennato alla possibilità di una "svolta dell'ultimo minuto". Le cose, tuttavia, sono andate diversamente.
Come ha ammesso lo stesso primo ministro giapponese, "le questioni rimangono irrisolte" e l'accordo sui dettagli è rinviato. Fonti vicine ai negoziati indicano che le principali differenze riguardano le tariffe sulle automobili e sui prodotti in metallo. Il Giappone ha insistito per ridurre i dazi del 25%, gli Stati Uniti non hanno fatto concessioni.
La partenza anticipata di Trump ha aggiunto ulteriori tensioni: secondo i rapporti della stampa, l'incontro bilaterale pianificato con Ishiba nella seconda giornata del vertice non si è tenuto.
Per il governo giapponese si tratta di un duro colpo d'immagine. Ishiba sperava di rafforzare la propria posizione dopo la sconfitta alle elezioni dello scorso anno e di dimostrare la sua capacità di difendere gli interessi dell'economia orientata all'export. Ma senza un accordo con gli Stati Uniti, soprattutto sullo sfondo dell'accordo con la Gran Bretagna, si è ottenuto l'effetto contrario.
Inoltre, a margine del G7 si era parlato anche di un'eventuale sfiducia in parlamento qualora i negoziati non avessero portato risultati concreti. Aumentano inoltre i rischi macroeconomici: secondo le stime dell'Istituto Daiwa, l'aumento dei dazi al 24% potrebbe ridurre il PIL del Giappone del 2,2% entro il 2029.
Sono tutti fattori che si sommano alla posizione già vulnerabile della valuta giapponese. Lo yen è infatti sotto pressione da diverse settimane, e la mattinata di martedì ha solo aggravato il quadro: sullo sfondo della decisione della Banca del Giappone di mantenere invariati i tassi di interesse, il tasso di cambio è sceso a 145,12 per dollaro - il minimo degli ultimi giorni.
Gli investitori considerano la morbidezza della BOJ e il fallimento dei negoziati come segnali per un ulteriore indebolimento dello yen, soprattutto di fronte ai crescenti rischi esterni.
Massima cautela: la Banca del Giappone rinvia nuovamente la normalizzazione
A questo punto è già chiaro a tutti: la Banca del Giappone preferisce non correre rischi. Tuttavia, dietro la decisione di mantenere i tassi e rallentare il ritmo di contrazione del bilancio, c'è molto più che una semplice cautela.
La nuova tattica di Tokyo non è solo una pausa nella normalizzazione della politica, ma anche un segnale finemente costruito per i mercati: la banca centrale non è disposta ad aumentare la volatilità dell'ambiente globale, un ambiente in cui la geopolitica e le tariffe rendono pericolosa qualsiasi mossa.
La modifica principale riguarda i dettagli del piano per ridurre il volume degli acquisti obbligazionari (QT). Se in precedenza il regolatore aveva aderito al programma di tagli trimestrali di 400 miliardi di yen, ora questo ritmo sarà dimezzato a partire dall'anno fiscale 2026.
Pertanto, entro marzo 2027, il volume degli acquisti mensili sarà ridotto di soli 2 trilioni di yen, più lentamente rispetto agli obiettivi precedenti. Inoltre, la banca ha preannunciato una revisione intermedia del programma, dando così un ulteriore segnale della volontà di mantenere la massima flessibilità.
Non sono mancati dissensi all'interno del consiglio direttivo: il membro del board Naoki Tamura non ha ufficialmente condiviso il nuovo calendario di QT, giudicandolo eccessivamente lento. Tamura ha insistito per mantenere lo stesso ritmo dei tagli. Ma la sua era una posizione di minoranza – e il mercato lo ha notato: i commenti degli investitori parlano di dominio del "campo della stabilità" all'interno della leadership della BOJ.
Proprio questa stabilità – o meglio il rifiuto di qualsiasi mossa brusca – è diventata il filo conduttore della reazione dei mercati. Come ha osservato Norihiro Yamaguchi, senior economist di Oxford Economics, il ritmo di riduzione adottato "è progettato per calmare i mercati obbligazionari, nervosi dopo un brusco aumento dei rendimenti". Il rallentamento del QT è in realtà riconosciuto come un modo per proteggere le finanze giapponesi dall'instabilità esterna.
Un dato confermato dal parere di Toru Sasaki, capo stratega di Fukuoka Financial Group: "È difficile aumentare i tassi quando la Banca del Giappone non sa cosa accadrà ai dazi statunitensi e al Medio Oriente".
Il suo punto di vista è condiviso da altri analisti: la Banca del Giappone sta usando l'incertezza esterna come legittima motivazione per l'inazione, non vuole aumentare le turbolenze in un momento in cui l'economia non mostra una crescita forte.
Tuttavia, una pausa non è un rifiuto. I rappresentanti della banca continuano a parlare di disponibilità a un nuovo aumento dei tassi se l'inflazione si confermerà sostenibile. In effetti, nel mese di aprile, l'inflazione al consumo di base in Giappone ha superato il 3,5 per cento – il massimo da due anni, e i prezzi dei prodotti alimentari crescono con un ritmo del 7% l'anno. A ciò si aggiunge la carenza di manodopera e la crescita salariale, così che le argomentazioni a favore della normalizzazione già si intuiscono all'orizzonte.
Proprio orizzonte è la parola chiave. La Banca del Giappone sta elaborando una politica che non colleghi i mercati a scadenze specifiche, ma indichi solo una traiettoria complessiva. È un dato evidenziato anche dal commento di Xun Guo di ANZ a Singapore: "la Banca del Giappone non ha fretta, ma capisce che la pressione inflazionistica rimane. E la sua pazienza non è infinita".
Merita particolare attenzione la struttura della riduzione degli acquisti: i volumi delle obbligazioni con scadenza fino a 10 anni saranno ridotti, mentre i titoli a lunghissimo termine resteranno invariati. Questa decisione indica una precisa strategia: fornire liquidità all'estremo della curva, evitando finanziamenti destabilizzanti e turbolenze eccessive. I trader, secondo gli analisti di Mizuho Securities, lo hanno preso come un segnale: la Banca del Giappone vuole che il mercato determini i rendimenti da solo, ma senza inutili pressioni dall'estremo della curva.
Eppure il mercato rimane diffidente. Miki Den di SMBC Nikko avverte: "Il mercato obbligazionario è diventato più fragile e il QT meno prevedibile. Qualsiasi cambiamento nella retorica sarà interpretato con fermezza".
Questo sottolinea la complessità dell'attuale posizione della BOJ: continuare con la politica di inasprimento, ma farlo a un ritmo che non causi problemi al mercato, soprattutto di fronte agli shock esterni.
Di conseguenza, il nuovo corso della Banca del Giappone non è un'inversione di tendenza, ma un adattamento. L'istituto non si rifiuta di normalizzare, ma cambia tempi, ritmo e segnali. Ed è proprio in questa situazione – con flessibilità, pause e riserve – che il regolatore giapponese entra nella fase più difficile della sua trasformazione monetaria, con lo yen che rimane costantemente sotto pressione.
Il segnale decisivo: la riunione della Fed come momento di verità per il dollaro
Sullo sfondo delle tensioni geopolitiche e della passività monetaria della Banca del Giappone, è il sistema della Federal Reserve che può diventare un fattore chiave in grado di spostare il mercato dei cambi da una posizione di attesa.
La riunione della Fed, prevista per mercoledì, è considerata dagli investitori non solo come un altro impegno da calendario, ma come un potenziale momento di inversione del corso del dollaro.
In generale, le aspettative sono moderate: il consenso presuppone che il tasso rimanga invariato. Ma l'intrigo è nei dettagli. Grande attenzione sarà dedicata alla versione aggiornata del "dot plot", il diagramma delle aspettative sui tassi dei membri del FOMC, nonché alle nuove previsioni macroeconomiche. Il mercato andrà alla ricerca di qualsiasi segnale che indichi un ammorbidimento della retorica.
Finora, il dollaro non ha mostrato movimenti bruschi, ma si tratta di un equilibrio instabile. Se la Fed dovesse far intendere che due tagli dei tassi entro la fine dell'anno restano confermati o quantomeno possibili, ciò aumenterebbe la pressione sul dollaro statunitense. Soprattutto in un contesto di crescente interesse per gli asset rischiosi e di calo dei rendimenti sui titoli di Stato. In questo caso, il dollaro potrebbe iniziare una correzione, lasciando il posto alle valute dei paesi con politiche più da "falchi".
Ma anche l'alternativa è reale. Come osserva l'analista Ronald Temple, "i mercati si aspettano due tagli ai tassi quest'anno, ma io mi aspetto un livello zero". Se le proiezioni puntuali dovessero risultare più caute, ma le stime su inflazione e PIL rimanessero solide, la Fed potrebbe inviare ai mercati un segnale di prolungamento della pausa. In tale scenario, il dollaro non solo terrà le posizioni, ma riceverà anche un sostegno a breve termine, soprattutto nelle coppie con lo yen e l'euro.
In ogni caso, la riunione della Fed è percepita come un fattore determinante. Dopo un inizio di settimana impegnativo, in cui i principali fattori trainanti sono stati il conflitto in Medio Oriente, l'uscita di Trump dal vertice, i fallimenti diplomatici e la morbidezza giapponese, i mercati avranno finalmente l'opportunità di concentrarsi sui numeri e sulla traiettoria della più grande economia del mondo. E non tanto sulle sue decisioni attuali, ma sulle sue intenzioni.
Per il dollaro, in questo momento non è il tasso a essere critico, ma la fiducia. Un segnale troppo debole potrebbe minare la posizione della moneta in un contesto di mantenimento della stabilità macroeconomica. Un segnale troppo rigido aumenterà la divergenza tra aspettative e azioni, causando una maggiore volatilità. Gli investitori si muovono sul filo del rasoio, e qualsiasi sfumatura nella retorica di Jerome Powell potrebbe rivelarsi determinante.
Pertanto, la riunione della Fed non è solo un incontro, ma il momento di fare una scelta. Se il dollaro si sposterà verso l'alto o verso il basso rispetto all'attuale livello non dipenderà dal tasso, ma dalla fiducia che la Fed sarà disposta a trasmettere ai mercati. Dopo la cautela del Giappone, il mercato ha finalmente bisogno di una voce – e la sta aspettando da Washington.
Come negoziare alle condizioni attuali: strategie per i cauti e i decisi
In un contesto di turbolenza diplomatica e di contenimento monetario, il mercato dei cambi è in standby. Ma non è un motivo per farsi da parte. Al contrario: i periodi di incertezza consentono di costruire una strategia che non si basa su supposizioni, ma su reazioni. È proprio queste il caso in cui il mercato non negozia eventi, ma interpretazioni. Ecco perché la chiave non è nelle previsioni, ma nell'approccio allo scenario.
USD/JPY: per il momento il tasso è aumentato, ma si attendono segnali dal governatore Ueda e la decisione della Fed
La coppia rimane nel canale rialzista, lo yen sotto pressione sia per l'impasse diplomatica che per l'inerzia monetaria della BOJ. Nel mentre la Banca del Giappone cerca di far capire al mercato che non vale la pena aspettarsi un aumento dei tassi nei prossimi mesi, e che acquistare il dollaro contro lo yen rimane giustificato. L'obiettivo più vicino è intorno a 146,00. Il rischio principale è un segnale inaspettato da "falco" da parte di Ueda.
EUR/USD: neutrale fino a mercoledì, poi in base al segnale dalla Fed
La coppia è schiacciata tra 1,1530 e 1,1600. È possibile effettuare scambi all'interno dell'intervallo, ma grandi movimenti saranno possibili solo dopo le previsioni della Fed. In caso di retorica morbida di Powell e di suggerimento di un taglio dei tassi, è possibile una rapida crescita fino a 1,1650 e oltre. Se la retorica sarà più dura, assisteremo a un ritorno a 1,1470. Al momento della pubblicazione dei verbali o durante la conferenza stampa, si raccomanda di operare con take profit ridotti e volatilità predefinita.
GBP/USD: sfruttare lo slancio dell'accordo, ma non sopravvalutarlo
La coppia rimane nell'intervallo 1,3535-1,3640, in cui da diversi giorni non riesce a scegliere una direzione. L'accordo commerciale con gli Stati Uniti ha fornito alla sterlina sostegno a breve termine, ma l'economia del Regno Unito è strutturalmente ancora vulnerabile e la dinamica della sterlina rimane limitata. In caso di rottura di 1,3640, è possibile un balzo a 1,3690, ma ciò richiederà un catalizzatore esterno, ad esempio un segnale morbido da parte della Fed. Se il dollaro aumenta, non è escluso un rollback a 1,3480. La tattica attuale è di acquistare dal supporto con uno stop stretto, o di lavorare sull'uscita dall'intervallo.
Raccomandazioni generali:
- Le scommesse sul dollaro sono giustificate solo in presenza di un segnale deciso da parte della Fed. In assenza di tale segnale, è elevata la probabilità di una fase di consolidamento o di un moderato indebolimento del dollaro.
– Cautela sui cross con lo yen: l'approccio accomodante della BoJ rimane un fattore di pressione, ma l'indebolimento potrebbe essere irregolare. Le migliori operazioni sono sugli storni con stop stretti.
– Negoziare i fatti, non le aspettative: questa settimana offre un mercato in cui vinceranno non coloro che avranno previsto l'esito, ma coloro che sapranno interpretare correttamente la reazione.