Main Quotes Calendar Forum
flag

FX.co ★ UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

parent
Analysis News:::2025-07-22T07:46:06

UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

L'accordo commerciale tra l'Unione europea e gli Stati Uniti si dissolve davanti ai nostri occhi. A una settimana dalla scadenza del 1° agosto, entrambe le parti intensificano la retorica, si scambiano minacce tariffarie e preparano piani di contrattacco. Washington minaccia tariffe al 30%, Bruxelles prepara un pacchetto di contro-sanzioni da miliardi di euro. I negoziati sono fermi e le possibilità di un accordo pacifico si riducono sempre di più. Cerchiamo di capire come sono arrivate le più grandi economie del mondo sull'orlo di una grande guerra tariffaria e cosa questo può significare per i mercati.

Sempre più duro: Trump stringe il morso all'Europa

L'Unione europea e gli Stati Uniti sono i maggiori partner commerciali del mondo. Stando ai dati del Consiglio europeo, nel 2024, il volume degli scambi reciproci tra le due economie, inclusi beni e servizi, ha raggiunto la cifra di 1,68 trilioni di euro (circa 1,96 trilioni di dollari).

Nonostante il solido surplus dell'UE sullo scambio di materie prime, gli Stati Uniti mantengono un vantaggio nei servizi. Alla fine dell'anno, ciò ha garantito all'Europa un surplus totale di circa 50 miliardi di euro, un numero che è presto diventato il principale obiettivo delle critiche da parte dell'amministrazione Trump.

E' proprio questo lo squilibrio su cui la Casa Bianca si basa per imporre richieste tariffarie sempre più dure. Inizialmente si è discusso di un tasso unico del 10%, applicabile a molte categorie di beni esportati dall'UE.

Nelle ultime settimane, tuttavia, Washington ha radicalmente cambiato la propria retorica, con Trump che ha di recente annunciato in pubblico la sua volontà di imporre tariffe del 30% su quasi tutte le esportazioni europee. Ciò equivale a una revisione degli accordi preesistenti e a un aggravamento del conflitto al livello di una vera e propria guerra tariffaria.

Tutto è iniziato con una "lieve minaccia", per poi trasformarsi in un ultimatum. Oltre al tasso di base, l'amministrazione USA ha avviato una serie di tariffe selettive: 25% su automobili e ricambi auto, 50% su acciaio e alluminio e potenziali nuove imposte su prodotti farmaceutici, semiconduttori e rame.

In totale, secondo i calcoli della Commissione europea, sono a rischio 380 miliardi di euro di esportazioni, pari a circa il 70% del volume totale delle forniture dell'UE agli Stati Uniti.

UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

Per Bruxelles, si tratta di un segnale: gli Stati Uniti passano dai negoziati al diktat. Se prima le parti speravano di concludere un accordo simile a quello trovato da Stati Uniti e Gran Bretagna (con lo stesso tasso del 10 per cento e riserve settoriali), ora la parte americana chiede di più, senza alcuna garanzia di stabilità e senza una moratoria sugli ulteriori dazi.

Washington lo ha detto chiaramente: non ci sarà alcun compromesso. Il Segretario al commercio degli Stati Uniti Howard Lutnick ha dichiarato alla CBS: "È una scadenza vincolante, quindi il 1° agosto entreranno in vigore nuove tariffe", aggiungendo che i negoziati potranno continuare dopo tale data, ma l'UE dovrà iniziare a pagare immediatamente.

Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha mantenuto un tono duro, sottolineando: "Ciò che è importante è la qualità dell'accordo, non il momento della sua conclusione", lamentando la "lentezza dell'UE" nella risposta alle proposte americane.

Nel frattempo, a Bruxelles, l'umore sta cambiando. Se in precedenza gli stati del blocco evidenziavano differenze nella valutazione del livello ammissibile di concessioni tariffarie, ora, dopo le minacce di Trump, anche i membri tradizionalmente cauti – in particolare la Germania – hanno assunto una posizione più dura. Un funzionario tedesco l'ha detto apertamente: "Se vogliono la guerra, l'avranno".

Il dialogo è al limite: i negoziati sono in stallo e il tempo sta per scadere

Al 1° agosto, termine ufficiale per la conclusione di un accordo commerciale tra UE e USA, manca solo una settimana. È proprio in questi giorni dunque che si sarebbero dovuti trovare accordi significativi.

Ma invece di una svolta, si è entrati in un vicolo cieco in cui entrambe le parti parlano, ma non si avvicinano. I negoziati UE-USA sono in corso, ma somigliano sempre più a una facciata politica, dietro la quale si porta avanti un duro gioco di tempo e minacce.

La scorsa settimana si è svolta a Washington un'altra tornata di discussioni. Risultato: delusione. Mentre lasciava gli Statii Uniti, il capo della delegazione commerciale dell'Unione europea Maros Sefcovic ha detto chiaramente: non vedo un compromesso, le posizioni della Casa Bianca sono confuse e le richieste sempre più aggressive.

I diplomatici al corrente dei dettagli della riunione hanno affermato che gli Stati Uniti non sono stati in grado di fornire neanche una singola bozza che potesse essere considerata la base di un accordo. Per giunta, ciascuno dei negoziatori ha presentato "versioni" diverse in merito a quel che potrebbe andare bene al presidente Trump.

"Nessuno è capace di dire a Sefcovic cosa effettivamente andrà bene a Trump", ha riassunto un diplomatico europeo.

A causare ulteriore tensione è stato poi il netto rifiuto da parte di Washington delle condizioni fondamentali dell'UE. In particolare, gli Stati Uniti si sono rifiutati di introdurre nell'accordo una moratoria sulle tariffe future, legando la decisione a motivi di sicurezza nazionale, soprattutto in settori sensibili come quello farmaceutico, dei microchip e del legname. Ciò significa che anche l'accordo firmato non esclude l'imposizione di una nuova serie di dazi dopo poche settimane.

Anche la discussione dei dettagli tecnici non dà motivi per essere ottimisti. Tra i temi trattati vi sono poi le aliquote su acciaio e alluminio, i limiti settoriali, e le questioni legate al riorientamento delle catene di approvvigionamento. Ma sulla maggior parte dei dossier non ci sono posizioni comuni.

Secondo gli addetti ai lavori, gli USA stanno cercando di promuovere un modello che prevede una tariffa quasi universale superiore al 10%, e dal quale sono escluse solo singole categorie: aviazione, attrezzature mediche, farmaci generici e una serie limitata di attrezzature critiche.

UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

Secondo Bloomberg, alcuni negoziatori europei erano pronti a considerare anche un accordo svantaggioso, qualora fosse servito a evitare un aggravamento della discussione. Ma dopo una serie di segnali contrastanti da Washington e in seguito al rapido aumento dei tassi da parte di Trump, anche questa strategia si è rivelata politicamente tossica.

Al momento, non è ancora disponibile alcun documento legale approvato dalle parti. E ci sono segnali crescenti del fatto che qualsiasi potenziale accordo dipenderà da una sola variabile: la decisione personale del presidente degli Stati Uniti, che è impossibile prevedere.

Nel frattempo, a Bruxelles seguono gli eventi con un sempre maggiore scetticismo. La Commissione europea non commenta ufficialmente i colloqui, ma fonti ufficiose ammettono che non ci sono più speranze e il processo negoziale diventa uno schermo per prepararsi a un confronto economico su vasta scala.

Come può rispondere l'Europa agli Stati Uniti?

Se fino a un mese fa l'UE sperava di concludere i negoziati con gli Stati Uniti, anche se a condizioni disuguali, ma accettabili, ora la retorica è cambiata. Bruxelles ha smesso di implorare, e si prepara a rispondere. Non solo simmetricamente, ma anche strategicamente.

Nei corridoi della Commissione europea non si sta discutendo solo di un colpo tariffario speculare, ma di un piano di ritorsione su larga scala che potrebbe andare ben oltre le "tariffe sulle motociclette e sul whisky".

I diplomatici del blocco confermano che l'UE ha intensificato i preparativi per le azioni da intraprendere nel caso in cui non si raggiunga un accordo con gli Stati Uniti prima del 1° agosto. Stando alle fonti di Reuters, in seguito alla visita di Sefcovic a Washington a Bruxelles sono praticamente scomparse le illusioni di poter trovare un possibile compromesso.

All'esame, ora, ci sono solo diversi livelli di risposta. Il primo è il rinnovo dei dazi sospesi alle esportazioni USA per 21 miliardi di euro, sulla base di un pacchetto giuridico già esistente. Questo elenco può essere attivato immediatamente in caso di fallimento dei negoziati.

Il secondo è l'ampliamento dell'elenco delle sanzioni di ulteriori 72 miliardi di euro. Nell'ambito di queste misure rientreranno i prodotti industriali, le automobili americane, i generi alimentari, l'alcol e i prodotti chimici per la casa.

Particolare attenzione è rivolta ad alcuni specifici obiettivi politici: le misure europee vengono sviluppate con un occhio alle regioni sensibili per gli Stati Uniti, in particolare gli stati agroindustriali, da cui dipende la maggioranza repubblicana al Congresso. Si tratta di una ripetizione della strategia che l'Unione europea aveva già applicato nei precedenti conflitti tariffari.

Le mosse di Bruxelles, tuttavia, non si limitano ai dazi. L'idea di utilizzare lo "strumento anti-coercizione" (ACI), un potente meccanismo giuridico che conferisce all'UE il diritto di punire i paesi che esercitano pressioni economiche, prende sempre più piede.

Ad oggi lo strumento non è mai stato utilizzato, ma sempre più paesi dell'UE, tra cui la Germania, sono favorevoli alla sua attivazione. Gli oppositori sono sempre meno: anche gli stati scettici hanno iniziato a cambiare posizione sullo sfondo della crescente minaccia.

L'ACI offre molte più opportunità rispetto alle semplici tariffe. Tra le misure in discussione troviamo infatti:

- introduzione di controlli all'export di categorie sensibili di prodotti europei;

- restrizioni alla partecipazione delle imprese americane agli appalti pubblici, il cui mercato nell'UE è stimato in circa 2 trilioni di euro l'anno;

- blocco dell'accesso ai servizi finanziari e agli investimenti;

- divieto di vendita di determinati tipi di prodotti chimici, alimentari e tecnologici.

La Commissione europea non ha ancora dato un segnale chiaro sulla tempistica per l'attivazione dell'ACI, ma secondo le fonti, se i negoziati dovessero fallire, il sostegno politico per l'impiego dello strumento già c'è.

Il suo utilizzo richiederà una maggioranza qualificata di 15 paesi che rappresentano almeno il 65% della popolazione UE, e, stando alle recenti dichiarazioni, i voti si stanno accumulando. Come ha osservato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: "L'ACI è stato creato per le emergenze. Non siamo ancora a questo punto... ma ci stiamo avvicinando".

Parallelamente, sono in corso lavori su barriere non tariffarie, come la limitazione dell'accesso ai contratti di difesa, assistenza sanitaria, informatica e trasporti, nonché il rigoroso rispetto degli standard ambientali per le merci importate dagli Stati Uniti. Tali misure consentiranno all'Unione europea di esercitare pressione senza violare direttamente le norme OMC, aumentando i costi a lungo termine per le esportazioni statunitensi.

Come sottolineano gli analisti, non si tratta più di una controversia commerciale, ma di una protezione sistemica della sovranità economica europea. O, come ha detto un politico dell'UE in un'intervista al Journal: "Finora siamo stati trattenuti. Ora dobbiamo rispondere. Gli Stati Uniti si sono spinti troppo oltre".

Nessuno ne esce asciutto: L'Unione europea e gli Stati Uniti si conducono a vicenda verso la recessione

Con l'avvicinarsi del 1° agosto, a Bruxelles e Washington va diffondendosi la consapevolezza che anche un fallimento a breve termine dei colloqui provocherà una reazione a catena difficile da controllare. Non si tratta più solo di tariffe doganali, ma di una possibile riformattazione dell'intero modello commerciale transatlantico.

Secondo J.P. Morgan, se gli attuali piani della Casa Bianca saranno attuati, il peso tariffario statunitense sulle importazioni europee potrebbe superare il 20%, senza contare i dazi già esistenti. E questo, secondo gli analisti, sarà un duro colpo per le catene di approvvigionamento, poiché causerà un aumento del prezzo dei beni scambiati e aumenterà la volatilità dei mercati valutari e del debito.

D'altro canto, la struttura della bilancia commerciale tra l'Unione europea e gli Stati Uniti rende essa stessa disomogeneo il conflitto in termini di rischi. Il deficit degli Stati Uniti nel commercio di beni con l'UE – 606 miliardi di dollari (importazioni) contro 370 miliardi di dollari (esportazioni) – infastidisce da tempo Trump. Ma gli economisti sottolineano che questa "asimmetria numerica" non significa che l'Europa stia beneficiando unilateralmente.

Gli esperti osservano infatti che il deficit delle materie prime non è un male assoluto, poiché riflette l'elevata attività dei consumatori negli Stati Uniti, una valuta forte e l'orientamento ai servizi. Proprio nel settore dei servizi, al contrario, gli Stati Uniti hanno un surplus con l'UE: le aziende americane forniscono attivamente servizi finanziari, legali e tecnologici, software e infrastrutture IT all'Europa.

"Il problema è che la Casa Bianca vede il commercio esclusivamente come uno scambio di materie prime. Ma il vero profitto degli Stati Uniti è nei servizi", spiegano gli analisti del Journal.

UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

L'effetto boomerang è chiaro: parte del denaro speso per automobili e prodotti farmaceutici europei ritorna negli Stati Uniti sotto forma di domanda di servizi e investimenti.

Ecco perché gli economisti europei ritengono che la guerra tariffaria si trasformerà in un doppio colpo, sia per l'Europa che per gli stessi Stati Uniti. Come sottolinea Arnaud Girod, responsabile dell'economia e della strategia di Kepler Cheuvreux: "Un tasso del 15-20% sarà disastroso per le esportazioni europee. Ma, fattore non meno importante, colpirà anche i consumatori americani, aumenterà il costo della vita e alimenterà le aspettative di inflazione. Il rafforzamento dell'euro non fa che aggravare la situazione: per l'Europa è un ulteriore colpo alla competitività, mentre per gli Stati Uniti equivale a un aumento dei prezzi all'importazione. Tutti perdono – solo in valute diverse".

Gli allarmi vengono anche dal settore aziendale. Roland Busch, CEO di Siemens AG, ha esplicitamente chiesto di mettere fine all'incertezza tariffaria: "L'accordo deve essere un accordo. Solo allora sarà possibile attrarre capitali a condizioni chiare. Altrimenti, è un danno per gli investimenti".

Busch ha sottolineato che per le imprese europee il rischio principale non risiede tanto nei dazi in sé, ma nell'assenza di regole stabili del gioco. Quando la politica tariffaria diventa uno strumento politico, le imprese sono costrette a congelare gli investimenti e le decisioni operative.

Man mano che il conflitto si intensifica, le conseguenze economiche cessano di essere teoriche. Già ora la Commissione europea stima il danno potenziale derivante dall'imposizione dei dazi statunitensi al 30% intorno al 0,6% del PIL UE nei prossimi 12 mesi, se le misure avranno carattere universale. Particolarmente vulnerabili sono la Germania, la Francia, l'Italia e i Paesi Bassi – i maggiori esportatori di merci verso gli Stati Uniti.

Secondo gli analisti ING e Rabobank, il colpo più grave sarà quello inferto all'industria automobilistica, metallurgica, dei prodotti farmaceutici e dell'agricoltura, settori in cui la quota di forniture al mercato americano supera il 30% delle esportazioni totali in diversi paesi UE.

Se le tariffe venissero mantenute per un anno, la Germania potrebbe perdere fino a 45.000 posti di lavoro nel solo settore automobilistico, ha avvertito l'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW Berlin).

Come già sottolineato, anche per gli Stati Uniti le conseguenze saranno dolorose. L'aumento dei prezzi delle importazioni dall'UE influenzerà inevitabilmente i prezzi di produzione: dai medicinali e componenti medici ai pezzi di ricambio e all'alcol.

La Tax Foundation stima che l'imposizione di dazi addizionali nei confronti dell'Europa costerà ai consumatori americani 31 miliardi di dollari l'anno, un dato paragonabile all'effetto delle precedenti controversie commerciali con la Cina del 2018-2019.

Il duello tariffario tra UE e USA rischia pertanto di passare dalla fase del ricatto politico alla fase delle perdite reali. Quanto più a lungo le parti tengono il punto sulle proprie linee rosse, tanto più si avvicina la linea successiva: la recessione.

Il mercato non crede nella distensione – e per i trader questa è una possibilità

Nell'ambito della rapida escalation del conflitto tariffario tra UE e USA, l'euro resta sotto pressione. Ora la valuta europea è scambiata a 1,1684$, in calo dello 0,12% dopo un recente tentativo di crescita. Nonostante la tensione generale in politica estera, il movimento della coppia EUR/USD rimane sorprendentemente limitato, come se il mercato avesse intenzione di nascondersi in attesa di decisioni concrete, non di parole.

UE e Stati Uniti verso l'escalation tariffaria a una settimana dalla scadenza

In tali condizioni, la stabilità dell'euro sembra più uno sforzo psicologico che una vera fiducia del mercato. Gli analisti osservano che l'attuale inerzia delle valute non è dovuta alla mancanza di rischi, ma al fatto che il mercato è già abituato all'incertezza e non si affretta a reagire alle dichiarazioni finché non vengono realizzate azioni concrete.

Un ulteriore fattore di pressione sull'euro è rappresentato dalle aspettative della Banca centrale europea, che questa settimana dovrà decidere sul tasso di interesse. Ci si aspetta che la BCE mantenga la calma senza ricorrere a cambiamenti nei parametri, rendendo così la valuta europea vulnerabile agli shock connessi alla politica estera, come ad esempio una crisi tariffaria.

"Il mercato valutario sta scambiando in un intervallo ristretto a causa dell'incertezza globale associata a un possibile cambiamento delle tariffe", sottolinea lo stratega valutario Thierry Wizman.

Lo scenario di interruzioni, ritardi e prolungamento del conflitto già si riflette nelle quotazioni, ma non del tutto. Ed è proprio in tali condizioni che si apre una finestra di opportunità per il trading tattico. Dato che tutti i rischi chiave sono "legati" al 1° agosto, i trader dovrebbero monitorare attentamente:

- una rottura al ribasso del livello di 1,1650 come segnale del rafforzamento della tendenza ribassista,

- un rimbalzo a breve termine a 1,1750–1,1780 come motivo per vendere su notizie negative dal fronte negoziale.

I fattori fondamentali rimangono a favore del dollaro, principalmente a causa del rendimento più elevato dei titoli del Tesoro degli Stati Uniti e della linea dura della Fed nel contesto dell'inflazione. Ma, come giustamente notano gli analisti valutari, l'influenza della Casa Bianca sull'agenda economica è oggi più importante della posizione delle banche centrali.

"Ci aspettiamo che il fattore tariffario sostenga il dollaro nel breve termine", afferma l'analista Jonas Goltermann. "Ma tutto dipende dall'aggressività con cui Trump vuole chiudere la questione".

In tal modo, la coppia euro-dollaro entra in territorio critico – non sul grafico, ma in termini geopolitici. E per i trader, questo non è solo un rischio, ma anche una possibilità: in momenti di grande incertezza, vince chi agisce in base ai fatti, non alle dichiarazioni.

Analyst InstaForex
Share this article:
parent
loader...
all-was_read__icon
You have watched all the best publications
presently.
We are already looking for something interesting for you...
all-was_read__star
Recently published:
loader...
More recent publications...